sabato 15 novembre 2008

Confindustria, AICA e CNIPA: una "lezione" per il futuro delle professioni ICT

Ieri mattina, venerdi 14 novembre 2008, si è svolto in Confindustria un incontro interessante sulle professionalità nel settore ICT. Il titolo era "Professioni ICT: una “lezione” per il futuro" organizzato da AICA, CNIPA e CONFINDUSTRIA SERVIZI INNOVATIVI E TECNOLOGICI. Ha visto anche la partecipazione dell'Università tramite le associazioni e i relativi presidenti GII e GRIN (associazioni dei docenti universitari di informatica).
E' stato significativo ascoltare il dibattito che, forse, "non a caso" non ha previsto alcun intervento degli ordini professionali trattandosi di una "lezione" per il futuro sulle professioni informatiche.
Se volessimo sintetizzare ed estremizzare la tesi sottostante, che almeno ho percepito, potremmo dire che in futuro le aziende e la pubblica amministrazione dovrebbero "privilegiare" al sistema di formazione universitario quello formativo/certificativo AICA (vedi Eucip) e dovrebbero ignorare l'esistenza degli ordini e della relativa normativa che riserva tutta una serie di attività agli ingegneri dell'informazione (DPR328/2001): a riprova della tesi "percepita" gli ordini professionali sono stati "ignorati" nella composizione dell'agenda e il mondo universitario è stato invitato in contradditorio per far passare virtualmente la "staffetta" della formazione e certificazione all'AICA (ai fini almeno del mercato e non della ricerca); con la sua presenza l'università implicitamente ha avallato il nuovo assetto "futuro" auspicato dagli enti organizzatori.
Il ruolo "passivo e strumentale" delle università trovava inoltre esplicita evidenza nella denuncia del relatore universitario dell'operazione in corso in parlamento questi giorni: l'approvazione di un collegato della finanziaria che prevede per tutto il settore informatico l'annullamento dei titoli di studi universitari per le forniture verso la PA (per chi è più interessato veda il collegato alla finanziaria atto Senato n. 1167 nelle previsioni dell'art. 15). E a tutti è parso evidente che sicuramente tale comma non è stato inserito ne dall'università, ne dagli ordini professionale e neanche dalla PA che grazie a Brunetta sta attraversando una fase di esaltazione della "meritocrazia": dunque da chi? e perchè? sono state le domande che tutti si sono posti sommessamente fra se e se. La stessa assenza di oratori illustri già previsti al convegno poteva esser letta in questa chiave mentre è stata una lieta sorpresa vedere nel pubblico il nobel Rita Levi di Montalcini.
Peccato che il settore impiega circa 1500 docenti universitari per un bacino di 150.000 studenti e 15.000 laureati l'anno che forse non hanno appreso "la lezione" e la valenza dell'azione in atto. In perfetto accordo con il quadro suddetto si può notare anche che nelle linee guida CNIPA per le forniture informatiche si stressa l'esigenza di verificare e premiare le certificazioni EUCIP dell'AICA e non si accenna neanche al valore delle lauree informatiche.
Sicuramente il settore informatico ha tutta una serie di specificità ma siamo sicuri che lo scenario suddetto sia quello più auspicabile? Il fatto che spesso l'università non eroghi la formazione richiesta dal mercato è un problema del mondo universitario piuttosto che dell'esistenza stessa dello stesso Probabilmente anche la riforma in atto da parte del governo vuole a suo modo avvicinare i due mondi grazie alle "fondazioni" ma certo negare "tout court" il patrimonio del sistema universitario con leggi, emendamenti e linee guida, perchè non completamente adeguato mi sempra quanto mai temerario e poco lungimirante.
Siamo sicuri che un corso elective e della "pratica sul campo" possano del tutto sostituire un insegnamento "accademico"? Non sarebbe forse meglio pensare ad un nuovo modo di erogare la formazione che preveda anche degli aggiornamenti annuali con crediti formativi così come già previsto in altri settori? Riguardo agli ordini professionali nel settore dell'informazione non c'e' mai stato una situazione coorporativa di "difesa" tant'è che ognuno esercita nel settore senza alcun titolo e ogni ingegnere si è sempre dovuto confrontare con una concorrenza di ogni genere.
Nel seminario si è parlato del disagio degli ingegneri di Finmeccanica che nonostante l'altà qualità delle progettazioni non si trovano pienamente soddisfatti nel loro inquadramento. Considerando che nel settore i contratti più diffusamente applicati agli informatici sono quelli del commercio o dei metalmeccanici è facile capire il tutto.
Invero l'ICT sta diventando un settore strategico che può capitalizzare il capitale umano italiano: occorre motivare i giovani ad intraprendere studi seri nel settore garantendo delle effettive opportunità preferenziali di lavoro rispetto a scorciatoie formative che se possono sanare i titoli degli specialisti più anziani nulla danno alle nuove leve, e si consideri che società tipo Goolge e Youtube sono state fatte da ventenni e non da sessantenni (scrive aihme un già 45enne).
Una ultima considerazione sugli ordini professionali.
Nel settore edile e meccanico l'ingegneria italiana è riuscita ad essere vincente a livello mondiale e la qualità formativa di base delle facoltà scientifiche italiane in generale è molto alta; ma quale è stato il fattore di successo determinante?
A mio modesto parere il fattore critico è stato una maggiore attenzione all'aspetto ETICO e deontologico dell'attività d'impresa nel settore professionale realizzato attraverso tutta un complesso sistema normativo che prevede che ogni attività e/o opera di ingegneria debba alla fine far riferimento dal punto di vista delle responsabilità a persone fisiche professionali iscritte ai relativi ordini soggette al codice etico e deontologico. In funzione del valore dell'opera possono operare professionisti singoli oppure associati oppure società di professionisti o società di ingegneria o infine associazioni temporanee tra professionisti nelle forme anzidette e si noti che anche quando si prevede una società di capitali la legge (l.109/94) prevede che
9. I requisiti organizzativi, professionali e tecnici delle società di ingegneria sono individuati nel regolamento, fermo il principio che l'attività di progettazione deve far capo ad uno o più professionisti iscritti negli appositi albi, nominativamente indicati e personalmente responsabili.
Di contro le società di capitali "generiche" sono mosse soltanto da logiche di profitti a corto raggio spesso trimestrali per le dinamiche delle quotazioni in borsa e spesso seguono per schivare le responsabilità e i creditori logiche cicliche di fallimento e rinascita sotto sembianze simili. La stessa attuale crisi globale finanziaria è figlia di una deregolamentazione selvaggia del settore nel quale spesso le banche, gli operatori e le società finanziarie hanno soltanto perseguito il profitto a corto raggio per la massima speculazione senza alcun valore etico e senza alcuna attenzione alla tutela dei singoli cittadini e dei loro risparmi di una vita. Adesso tutti invocano una finanza più "etica" e più "regolamentata" supportata dal "pubblico" ma perchè allora ci ostiniamo a non imparare la "lezione" della crisi attuale e vogliamo deregolamentare selvaggiamente altri settori che potrebbero beneficiare enormemente dell'assetto professionale?
L'italia costruisce ponti e strate in tutto il mondo e le ditte manifatturiere fanno il tessuto industriale italiano: perchè tale modello anzidetto, magari corretto e adattato non riprodurlo anche nel nuovo settore dell'informazione che, in questo stato attuale deregolamentato vede un export zero di software, una dominazione di multinazionali estere e una forte demotivazione del personale?
Ovviamente ciò richiede un profondo ripensamento dei meccanismi di erogazione della formazione all'interno dell'università ancora troppo orientati ad un sapere "classico" assoluto e dei nuovi meccanismi di verifica e controllo del codice etico e deontologico degli iscritti da parte degli ordini ancora in parte troppo orientati alle discipline "classiche" edili e meccaniche. Ma è una strada che vale la pena percorrerla in modo costruttivo e cooperativo in sinergia con tutte le realtà del paese Confindustria, Cnipa, Università e AICA a beneficio dell'intero sistema paese.

F.M.

1 commento:

Alessandro Luzietti ha detto...

Gli Ordini professionali, grazie alla loro etica imposta dai rispettivi statuti obbliga i suoi scritti a possedere quella VERA cultura aziendale e quei valori che la stragrande maggioranza degli imprenditori di casa nostra non hanno (a parte qualche felice e rara eccezione), ed è solo così che si può attuare sia il prestigio della produzione industriale italiana a livello mondiale, sia quel felice connubio tra mondo del lavoro e mondo accademico nei comparti dove esso è presente.
Il body-rental (la perversa modalità di fatturazione con la quale operano le multinazionali estere e le aziende italiane che forniscono loro “mano d’opera”) sta trasformando un comparto che dovrebbe essere il settore di punta per l'innovazione di prodotto e del valore aggiunto del nostro paese in un insieme di attività fortemente estensive, come si verifica nei sistemi economici latifondisti, perché è più importante per certi datori di lavoro che si totalizzino il maggior numero di ore possibili e ritardare le funzionalità veramente corrette di un progetto in modo da accumulare più giorni possibile, visto che ancora si fattura a giorni/ore/uomo. Così la natura dello strumento informatico colà generato si perde, diventa un qualcosa fine a sé stesso e non più mezzo per raggiungere lo scopo reale, quello di creare valore aggiunto mediante un servizio che massimizzi il beneficio degli utenti senza che essi ne sopportino costi ed oneri.
Passi pure il fatto di dare un certificato che, secondo i fautori, dia dignità professionale a quei lavoratori informatici non preparati dall'Università e che fanno bene il loro lavoro, anche per rimediare al caos attuale sulla classificazione delle competenze, ma perché un contratto nazionale apposito che riconosca ruoli e livelli opportuni deve essere sempre scansato?
Non si può continuare ad accumulare tempo fatturante su una scrivania per attività diluite così tanto al punto di diventare di bassissimo livello, su progetti che prima o poi dovranno essere buttati. A che gli serve se proprio nel comparto che dovrebbe essere a più alto tasso di innovazione vige, in casi meno infrequenti di quanto si possa immaginare, un autentico sistema di caporalato? Pensiamo solo al fatto che con tali premesse molte di queste aziende formano i loro dipendenti (si badi bene, dipendenti e non persone), si capisce che danno si generi nel medio e lungo termine.
Una riprova dell'importanza degli studi di ampio respiro, quelli che solo una istituzione universitaria può dare, la si trova nei seguenti due esempi: 1) l'inventore dei formati MP3 ed MPEG è un italiano, tale Leonardo Chiariglione, nato nel '43 (!), quindi caro Francesco non ti preoccupare per il tuo anno di nascita o per l'età dei creatori di Google; 2) vale la pena di ricordare per l'ennesima volta che l’algoritmo di instradamento che permette ai tutti i nostri cellulari (il famosissimo algoritmo di Viterbi, altro italiano…) di poter comunicare con chiunque, fu sviluppato nei primi anni ’80 (!) non per le esigenze di una compagnia di telecomunicazioni ma bensì per quella che oggi viene comunemente denominata “ricerca di base” o “ricerca pura”, senza minimamente prevederne l’utilizzo futuro avvenuto più di una decina d’anni dopo. Ecco perché non si può lasciare tutta la formazione in mano alle nostre (mini)aziende, solo perché possono fornire quel mero supporto tecnologico che costoro possono fornire limitatamente a quei profili di suo interesse momentaneo.